Da decenni il mondo scientifico conosce le correlazioni tra lo stato nutrizionale della mamma, la crescita fetale e lo stato metabolico del nascituro.
Alcuni studi si sono spinti persino a dimostrare che alcune specifiche carenze vitaminiche della madre possono condizionare il bambino anche post-partum.
Tuttavia, in relazione alle primissime fasi embrionali, ancora poco si conosce del legame tra mamma e bambino. Lo studio che vi presento oggi ha indagato più a fondo i primissimi momenti di replicazione cellulare del feto.
In caso di iponutrizione o ipernutrizione materna (due facce dell’identica medaglia di malnutrizione), l’embrione attraversa alcuni processi di adattamento molecolare e metabolico per far fronte alla carenza o all’eccesso di macronutrienti e, allo stesso tempo, anche il corpo materno si adegua per mantenere un micro-ambiente favorevole allo sviluppo dell’ovocita e alla formazione dell’embrione.
Questa comunicazione mamma-embrione sfrutta diversi mediatori nutrizionali.
Purtroppo, nonostante questi meccanismi di adattamento alla carenza di nutrienti riescano ad assicurare la formazione di blastocisti, sono state evidenziate conseguenze sulla qualità embrionale, che può risentirne e venire compromessa, portando a esiti negativi nei primi stadi della gravidanza.
Sorprendentemente (e fortunatamente) alcuni studi hanno dimostrato che, anche se la mortalità embrionale precoce può essere un risultato della malnutrizione materna, nel periodo preimpianto l’embrione ha un’enorme plasticità che gli permette di impiantarsi e arrivare a termine della gravidanza anche in condizioni di forte stress nutrizionale. Questa strategia evolutiva tuttavia ha un prezzo molto alto in quanto espone la prole ad un rischio più alto di sviluppare fenotipi deleteri in età adulta.
Molto spesso noi nutrizionisti e dietisti ci troviamo a dover rispondere alle preoccupazioni delle donne in gravidanza riguardanti l’aumento di peso; tuttavia, non va dimenticato che, sulla base di una buona alimentazione, varia ed equilibrata, il peso che una donna mette nei 9 mesi è quello di cui lei e il bambino hanno bisogno: per alcune sono 11 kg, per altre 15 kg o più, spesso a causa dell’accumulo di liquidi. Non va assolutamente fatto terrorismo riguardo l’incremento ponderale, e le stesse Linee Guida in Gravidanza sottolineano che esso deve essere visto come *uno* tra i tanti parametri che monitorano la salute della futura mamma.
Più importante, piuttosto, è focalizzarsi sulle carenze nutrizionali della donna, fin dall’epoca pre-concezionale. In particolare, andrebbe controllato l’assetto vitaminico e minerale di donne sottopeso e in fascia di obesità: due estremi ponderali esposti allo stesso rischio di carenza di micronutrienti. Laddove necessario, in accordo con il ginecologo, sarebbe importante provvedere ad opportuna integrazione, in particolare di vitamine metilate, in grado di esplicare un’azione epigenetica positiva sul bambino.
Eccovi lo studio: