Mangiare con gli occhi

Quanto conta la presentazione di quello che mangiamo?

Tutti almeno una volta abbiamo cucinato qualcosa di “brutto ma buono”: sappiamo che, se la sostanza c’è ed è buona, è assolutamente possibile andare oltre una presentazione poco appetibile… eppure gli studi confermano l’importanza del ruolo estetico del cibo: dà soddisfazione e appagamento, stimola l’appetito e predispone al godimento del cibo.
I ristoratori conoscono bene l’importanza dell’esperienza estetica: non si occupano solo di curare scrupolosamente la mise en place, ma si soffermano anche a dare rilevanza estetica alle stoviglie di servizio. Un piatto di pasta al pomodoro servito in un piatto arancione scintillante ha un ‘sapore’ diverso rispetto all’uso di un piatto nero opaco, vero? Forse il primo è più kitsch, il secondo più raffinato. Eppure sempre di pasta al pomodoro si tratta!

Il lato ‘visuale’ è centrale anche nei percorsi di riabilitazione nutrizionale: personalmente raccomando di dare valore al lato estetico del cibo durante i momenti della giornata che sono potenzialmente trigger di alimentazione caotica e non-consapevole, fino a spingere alle abbuffate (in genere nel tardo pomeriggio, quando si stacca dal lavoro, o dopo cena): è un modo per aumentare l’esperienza sensoriale del cibo, dandogli un valore diverso.

Che la dimensione visiva del cibo sia tanto importante si capisce anche dal successo che hanno gli account social di food photography: magari siamo mangiando solo una frittata di albumi e zucchine, ma se è fotografata in modo allettante sembra assurgere a un’esperienza gourmet…

Come sempre però, c’è anche un rovescio della medaglia.
Gli stessi food account che sono fonte di ispirazione per qualcuno, sono un’arma a doppio taglio per chi soffre di DCA o è in continuo dieting: vengono scrollati in modo ossessivo innescando meccanismi di compensazione, ed è scientificamente dimostrato che la deprivazione del cibo (anche volontaria, quando “ci si mette a dieta”) aumenta i pensieri ossessivi sul cibo, con ricerca spasmodica di ricette e fotografie che mai verranno messe in pratica.

Secondo uno studio la crescente esposizione rispetto a immagini di cibi desiderabili (spesso modificate al digitale per risultare ancora più invitanti, il cosiddetto “food porn”), cooking show televisivi, spot pubblicitari con rappresentazioni irrealistiche di piatti, etc finisce per esacerbare inavvertitamente il nostro desiderio di cibo, quella che in gergo viene chiamata ‘fame visiva’. Queste immagini funzionano sul cervello come stimoli alimentari esterni e possono evocare il desiderio di mangiare, anche in assenza di fame. La visione continua di cibi virtuali può esacerbare la nostra fame fisiologica più spesso del necessario, a causa della serie di risposte neurali, fisiologiche e comportamentali legate alla visione del cibo. Dobbiamo ricordare infatti che il cervello umano si è evoluto in un contesto di scarsità e in una certa misura “risponde” ancora alla stesso modo: la visione del cibo genera conforto, un fenomeno che viene considerato un adattamento del primo Pleistocene poiché per i primi umani significa avere abbastanza energia per sopravvivere per qualche altro giorno.
La ricerca sulle neuroscienze dimostra che, nel contesto attuale, l’esposizione continua a immagini di questo tipo può innescare processi cognitivi inibitori come l’autocontrollo, ci si sforza di resistere alla tentazione rappresentata dal cibo al fine di mantenere un peso considerato sano. Tali processi possono essere particolarmente impegnativi per coloro che, per qualsiasi motivo, tendono a mangiare troppo (individui che soffrono di abbuffate, bulimia o obesità) alimentando un circolo vizioso.

Tante foto, tanti stimoli che non vengono soddisfatti, aspettative alte, salivazione aumentata… che ci lasciano con un “hungry brain”, un cervello affamato che percepisce un senso di privazione.

Il modo di usare la stimolazione visiva correttamente esiste, come accennavo prima: se utilizzata in modo consapevole può portare anche dei vantaggi. Ci sono alcune situazioni in cui la maggiore esposizione visiva alle immagini del cibo può effettivamente esercitare un effetto benefico sui comportamenti alimentari delle persone, può essere lo stimolo per provare ricette e ingredienti nuovi, può essere un elemento in più per migliorare l’esperienza del pasto, per “rallentare” e gustare meglio il momento. Si è visto che anche nei bambini la preferenza per le verdure può essere aumentata semplicemente esponendoli alle immagini di determinati ortaggi.
Se vi siete accorti che seguire determinati account di food-blogger non vi fa bene perché altera la percezione della vostra alimentazione quotidiana, non abbiate paura a fare de-follow.
Viceversa, se vi è di stimolo creativo, e se magari oltre alla bella fotografia si associa anche un contenuto interessante, ben vengano questi account!
Il tempo che passiamo sul social e le immagini che vediamo plasmano in una certa misura la nostra realtà, abbiamo il diritto di scegliere a cosa esporci.

Lo studio a cui mi riferivo è questo: Eating with our eyes: From visual hunger to digital satiation

 

Dott.ssa Arianna Rossoni – Dietista esperta di alimentazione antinfiammatoria e fertilità, responsabile di EquilibrioDonna